Cass. pen., sez. IV, sentenza 06/05/2019, n. 18793
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINOnel procedimento a carico di: MA LA nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 21/03/2018 del TRIBUNALE di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. TOMASO EPIDEN DIO che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, previa riqualificazione del reato ai sensi del 624 bis Nessun difensore e' presente.
RITENUTO IN FATTO
1. Il GM del Tribunale di Torino, con sentenza del 21/3/2018, all'esito di giudizio abbreviato conseguente a procedimento per direttissima, condannava An- gela US, riconosciutele le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e recidiva, alla pena, già così ridotta per il rito, di mesi otto di reclusione ed euro quattrocento di multa per il reato continuato di cui agli artt.81 cpv, 624, 625 nn. 2 e 7 cod. peli., perché, con più azioni esecutive, del mede- simo disegno criminoso e al fine di trarne profitto, si impossessava di due mazzi di chiavi appartenenti a OS EN, infermiera presso il reparto di Pediatria dell'Ospedale di Chieri (TO), che le deteneva inserite nella toppa della serratura della porta del proprio ambulatorio, e l'altro a NI ZI, che le deteneva in qualità di caposala del predetto reparto all'interno della serratura della porta, dell'antibagno annesso allo stesso, nonché di un borsello in pelle blu contenente varie monete, sottraendo tali ultimi beni a OL LL, medico ospedaliero, in servizio al pari delle persone suddette preso l'Ospedale di' Chieri (TO) che li deteneva all'interno dell'armadietto chiuso a chiave lei assegnato nel locale spo- gliatoio medici di detto nosocomio. Con le aggravanti di aver commesso tutti i fatti su beni esistenti all'interno di stabilimento pubblico e il fatto in danno di OL LL anche con violenza sulle cose, consistita nella forzatura del suddetto ar- madietto. Recidiva reiterata specifica ex art. 99 c.p. In Chieri (T0)1'8 marzo 2018. 2. Ricorre per saltum ex artt. 569, 608 co. 1 e 4 in riferimento all' art. 569 cod. proc. pen. il PG presso la Corte di Appello di Torino chiedendo annullarsi la sentenza impugnata per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 521 co. 1 cod. proc. pen., avendo a suo avviso il tribunale torinese omesso di riqualificare il fatto, erroneamente ricondotto nella contestazione alla fattispecie di cui all'art.624 cod. pen., quale violazione dell'art. 624 bis cod. pen., con conseguente errore nella pena irrogata e nel bilanciamento delle circostanze. LA US - ricorda il ricorso- veniva arrestata in flagranza e giudicata con rito direttissimo e successiva richiesta di giudizio abbreviato dal Tribunale di Torino, per il furto sopra riportato. La stessa -come risulta ex actis- fu sorpresa da una pattuglia di CC inviata sul luogo, poiché una donna era stata avvistata aggi- rarsi con fare sospetto nei reparti dell'Ospedale Maggiore di Chieri. Venne così recuperata la refurtiva descritta nel capo d'imputazione, che risultava essere stata sottratta a personale medico e paramedico, in servizio presso il reparto di pedia- tria. Dalle dichiarazioni rese dalle persone offese si evinceva come la imputata avesse fatto ingresso, per effettuare i furti in oggetto, in luoghi che, ad avviso del PG ricorrente, devono essere considerati di privata dimora.In particolare, la dr.ssa OL dichiarava di detenere i beni a lei sottratti all'interno dell'armadietto chiuso a chiave nel locale spogliatoio-medici della strut- tura e NI ZI dichiarava che il mazzo di chiavi, rinvenuto nella tasca della US, era stato da lei lasciato nella serratura della porta dell'antibagno del locale magazzino del reparto di pediatria. Il PG ricorrente ricorda essere pacifico, per giurisprudenza costante che si debba intendere luogo di privata dimora qualsiasi luogo, non aperto al pubblico, nel quale la persona compia, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Viene ricordato in ricorso che è stato costantemente ritenuto luogo di privata dimora il locale spogliatoio (il richiamo è a Sez. 5, n. 12180 del 10/11/2014;
Dello Buono, Rv. 262815 secondo cui integra il delitto di furto in abitazione previsto dall'art. 624 bis cod. pen. il fatto commesso nello spogliatoio di un circolo sportivo, in un caso in cui l'imputato, dopo aver sottratto le chiavi di un'autovettura dalla tasca del giubbotto del proprietario, si era impossessato dell'auto di questi;
ed ancora a Sez. 5 n. 32093/2010 del 25/06/2010, Truzzi, Rv.248356 secondo cui integra il reato previsto dall'art 624bis cod. pen, la condotta di colui che, per com- mettere un furto, si introduca in una baracca adibita a spogliatoio di un cantiere edile, poiché il concetto di privata dimora è più ampio di quello di abitazione, ri- comprendendo ogni luogo non pubblico che serva all'esplicazione di attività cultu- rali, professionali e politiche). Sostiene il PG ricorrente che i locali magazzino, in generale, essendo luoghi di lavoro non accessibili al pubblico, ed il bagno e l'antibagno connessi ai magaz- zino, in particolare, essendo riservati solo al personale, rientrano nel concetto di privata dimora, come precisato dalla giurisprudenza (viene ricordato che, perché vi sia privata dimora si deve trattare di luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi, senza il consenso del titolare, nei quali si svolgano non occasionalmente atti della vita privata compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale giusto il dictum di Sez. 5, n 55040 del 20/10/2016, Rovei, Rv 268409, Sez. 5, n.51113de1 19/10/2017, Capizzano, Rv.. 271629 e, soprattutto, di Sez. Un n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico;
Rv 270076, ). Si evidenzia che il tribunale, pur giudicando con il rito abbreviato, avrebbe dovuto riqualificare il fatto ex art. 521 cod. proc. pen. avendo chiarito Sez. 6 n. 9213 del 26/09/1996, Martina, Rv. 206207 che il potere del giudice di dare in sentenza al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'impu- tazione, previsto dall'art. 521, comma primo, cod. proc. peri., è esercitabile anche con la sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato, non rilevando che in tale rito non sia applicabile, per l'esclusione fattane dall'art. 441, cod. proc. pen., l'art. 423 cod. proc pen., in quanto tale ultima norma prevede soltanto la facoltà del pubblico ministero di modificare l'imputazione procedendo alla relativa contesta- zione, non avendo nulla a che vedere con l'autonomo ed esclusivo potere-dovere del giudice di dare al fatto una diversa definizione giuridica, contemplato dall'art. 521, comma primo, cod. proc. pen., applicabile, benché non specificamente richia- mato in sede di giudizio abbreviato. Con la riqualificazione del fatto si sarebbe dunque dovuto procedere ad una quantificazione della pena sulla base del minimo di armi 3 di reclusione ed C 997 di multa e non si sarebbe potuto effettuare il bilanciamento delle circostanze, ma operare il doppio computo ex art. 624bis comma 4 cod. proc. pen. Chiede, pertanto, annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono fondati e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio, ex art. 569 co. 4 cod. proc. pen., al Tribunale di Torino, in quanto, ancorché il ricorso sia stato per saltum, si tratta di uno dei casi in cui, ai sensi dell'art. 604 co. 1 cod. proc. pen., nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado.
2. Fondato è il rilievo secondo cui il GM torinese sia incorso in una violazione di legge laddove non ha ritenuto che i fatti contestati andassero sanzionati ai sensi dell'art. 624bis cod. pen. Ciò in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionai- mente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. Un. n. 31345 del 23/3/2017, D'Amico, Rv. 270076 che hanno escluso l'ipotesi prevista dall'art. 624 bis cod. pen. in relazione ad un furto com- messo all'interno di un ristorante in orario di chiusura). Nella sentenza sopra citata le Sezioni Unite hanno dunque confermato l'orien- tamento che interpreta la disciplina dettata dall'art. 624-bis cod. pen. come esten- sibile ai luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell'abi- tazione (accertamento questo riservato ai giudici di merito). Potrà, quindi, essere riconosciuto il carattere di privata dimora ai luoghi di lavoro se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riser- vata di uno studio professionale o di uno stabilimento). Le SSUU D'Amico hanno preso le mosse dai principi delineati, da un lato, dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. le sentenze n. 135/2002 e n. 149/2008) per circoscrivere la nozione di "domicilio" ai fini della copertura costituzionale dell'art.14 Cost. (inviolabilità del domicilio) e dall'altro, dall'orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità (il riferimento in sentenza è a Sez. U. n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269), secondo cui la nozione di domicilio di cui all'art. 14 Cost. è più estesa di quella ricavabile dall'art. 614 cod. pen. e, quale che sia il rapporto tra le due disposizioni, "il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza". Non c'è dubbio, prosegue la Corte nella sentenza richiamata, che "il concetto di domicilio individui un rapporto tra