Cass. pen., sez. V, sentenza 08/06/2022, n. 22278
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: UL LU nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 14/04/2021 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO. Rilevato che il difensore del ricorrente ha formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza dell'art. 16 del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15. Uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Pasquale Serrao D'Aquino, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso e, per il ricorrente, l'Avv. Gianfranco Giunta, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata il 14/04/2021, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 18/07/2019 con la quale il Tribunale di Milano, all'esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato CA ER responsabile del reato di cui all'art. 483 cod. pen. (perché, quale legale rappresentante dell'impresa "Carrozzerie Giusti", nell'offerta di partecipazione a gara pubblica inoltrata al Reparto tecnico Logistico Amministrativo Lombardia il 18/08/2018, allegava la dichiarazione sostitutiva di certificazione e di atto di notorietà relativa al possesso dei requisiti di legge, in cui attestava falsamente di non aver commesso gravi infrazioni alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché agli obblighi di cui all'art. 30 d. Igs. n. 50 del 2016, essendo stato condannato nel 2017 in via definitiva per il reato di cui all'art. 137 d. Igs. n. 162 del 2006) e lo aveva condannato alla pena di giustizia.
2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione CA ER, attraverso i difensori Avv.ti Gianfranco Giunta e Simona Polimeni, articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 121 e 649 cod. proc. pen. e 483 cod. pen., in relazione agli artt. 80 e 213, d. Igs. 18 aprile 2016, n. 150 e all'art. 11 della legge n. 689 del 1981, avendo la sentenza impugnata dichiarato inammissibile la richiesta difensiva, proposta oralmente e attraverso una memoria, di declaratoria del ne bis in idem in relazione all'irrogazione per lo stesso fatto di una sanzione amministrativa da parte dell'ANAC.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell'art. 546 cod. proc. pen. e degli artt. 43 e 483 cod. pen., in relazione agli artt. 80 e 213 d. Igs. n. 50 del 2016 e all'art. 11 della legge n. 689 del 1981. A fronte della decisione dell'ANAC, che aveva qualificato la condotta in termini di colpa grave, irrogando il minimo della sanzione, considerata la definitività della stessa delibera dell'ANAC, la difesa aveva chiesto l'esclusione del dolo con motivi aggiunti, ma la Corte di appello si è limitata a rilevare la non vincolatività della delibera indicata, senza spiegare le ragioni per cui essa, frutto dei medesimi elementi confluiti nel processo penale, non avrebbe potuto spiegare i propri effetti favorevoli per l'imputato.
2.3. Il terzo motivo denuncia inosservanza dell'art. 546 cod. proc. pen. e degli artt. 43 e 483 cod. pen., in quanto la sentenza impugnata non si è confrontata con i motivi di appello relativi alla dedotta insussistenza del fatto e al carattere colposo e non doloso della condotta.
2.4. Il quarto motivo denuncia vizi di motivazione in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e agli artt. 43 e 483 cod. pen. L'illogicità della motivazione della sentenza impugnata emerge dal riferimento alla gravità del reato per il quale ER aveva riportato condanna, che, in realtà, consisteva in un decreto penale di condanna per il reato di cui all'art. 137 d. Igs. 152 del 2016, violazione, attinente a reato ambientale, che non ricade nell'ambito della "grave infrazione", ossia nella locuzione utilizzata nell'autodichiarazione incriminata. L'illogicità della motivazione, inoltre, emerge dall'omessa valutazione globale delle prove in atti, tra le quali l'interrogatorio di ER dinanzi al GUP, dove aveva affermato di aver inteso il decreto penale di condanna all'ammenda come una sanzione non