Cass. civ., SS.UU., sentenza 16/06/2014, n. 13676
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Il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla "data del versamento" o da quella in cui "la ritenuta è stata operata", opera anche nel caso in cui l'imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell'Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l'efficacia retroattiva di detta pronuncia - come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale - incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche.
Allorché un'imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell'Unione europea, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di "overruling" non sono invocabili per giustificare la decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, termine fissato per le imposte sui redditi dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dovendosi ritenere prevalente una esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario - Primo Presidente f.f. -
Dott. RORDORF Renato - Presidente di Sez. -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. DI BLASI Antonino - Consigliere -
Dott. VIRGILIO Biagio - rel. Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere -
Dott. BOTTA Raffaele - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6432-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI 84 PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
- ricorrente -
contro
SI AB;
- intimato -
avverso la sentenza n. 85/1/2010 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di VENEZIA, depositata il 19/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2014 dal Consigliere Dott. BIAGIO VIRGILIO;
udito l'Avvocato Lorenzo D'ASCIA dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO
1. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale, per quanto qui ancora rileva, è stato rigettato l'appello dell'Ufficio locale dell'Agenzia e confermato il diritto di PA IO al rimborso della maggiore IRPEF che era stata trattenuta dal datore di lavoro, Banca Nazionale del Lavoro, sulle somme corrispostegli dal 2001 al 2004 a titolo di incentivo alle dimissioni, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 4 bis, (poi divenuto - a seguito della nuova numerazione
introdotta dal D.Lgs. n. 344 del 2003 - art. 19, comma 4 bis). La domanda di rimborso, presentata in data 1 febbraio 2006, era basata sulla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 21 luglio 2005, resa in causa C-207/04, Vergani, con la quale la norma nazionale sopra indicata (secondo la quale era prevista un'aliquota ridotta alla metà sulle somme erogate in favore dei lavoratori che avevano superato i 50 anni, se donne, e i 55 anni, se uomini) era stata dichiarata in contrasto con la Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del
principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.
Il giudice d'appello, in particolare, respingendo l'eccezione dell'Ufficio, ha confermato il diritto al rimborso anche per l'anno 2001, ritenendo che la decorrenza del termine quadriennale per proporre l'istanza, stabilito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, dovesse essere individuata nella data di pubblicazione della citata sentenza della Corte di giustizia, solo a seguito della quale si era realizzato il presupposto del diritto alla restituzione.
2. Il PA non ha svolto attività difensiva.
3. La sesta sezione civile, sottosezione tributaria, con ordinanza n. 959 del 2013, depositata il 16 gennaio 2013, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite, considerato che la questione della decorrenza del termine per l'esercizio del diritto al rimborso di somme versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia è stata decisa in senso difforme da pronunce della sezione tributaria ed anche in ragione della particolare rilevanza della questione stessa.
4. Il ricorso è stato, quindi, fissato per l'odierna udienza.
5. La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. La questione sottoposta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se il termine di decadenza, previsto dalla normativa tributaria (nella specie, trattandosi di imposta sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) per l'esercizio, attraverso la presentazione di apposita istanza, del diritto al rimborso di un'imposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva all'indebito versamento, incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia, decorra comunque - come sostiene l'Agenzia delle entrate - dalla data del detto versamento, oppure - come ha ritenuto il giudice a quo - da quella in cui è intervenuta la pronuncia che ne ha sancito la contrarietà all'ordinamento comunitario.
1.2. La vicenda normativa che ha dato origine alla controversia in esame ha avuto uno svolgimento alquanto peculiare.
In sintesi:
a) l'art. 17, comma 4 bis, del TUIR, comma introdotto dal D.Lgs. n. 314 del 1997 e poi riprodotto nel D.Lgs. n. 344 del 2003, art. 19, comma 4 bis, ("nuovo" TUIR), prevedeva che "per le somme corrisposte
in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'età di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di cui all'art. 16 (poi 17), comma 1, lett. a), l'imposta si applica con l'aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme indicate alla richiamata lett. a) del comma 1 dell'art. 16";
b) la Corte di giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza emessa il 21 luglio 2005 nella causa C-207/04, Vergani, affermò che tale disposizione si poneva in contrasto con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio
della parità di trattamento fra gli uomini le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro;
c) il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, convertito in L. n. 248 del 2006, abrogò l'art. 19, comma 4 bis, TUIR, cit., ma dispose
che tale disciplina "continua ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, nonché con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o accordi, aventi data certa, anteriori alla data di entrata in vigore del presente decreto";
d) l'Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006, espresse l'avviso che le istanze di rimborso proposte in base alla detta sentenza non potessero essere accolte, argomentando che non necessariamente l'adeguamento della legislazione nazionale alla statuizione della Corte Europea si sarebbe dovuto risolvere nell'applicazione agli uomini del più favorevole limite di età di accesso al beneficio previsto per le donne (50 anni), giacché, almeno in linea teorica, tale adeguamento si sarebbe potuto realizzare anche applicando alle donne il più sfavorevole limite di età di accesso al beneficio (55 anni) previsto per gli uomini;
e) la Corte di giustizia, nuovamente investita della questione, con ordinanza del 16 gennaio 2008, nelle cause riunite da C-128/07 a C- 131/07, Molinari e aa., ha statuito che "qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell'altra categoria";
f) con circolare n. 62/E del 29 dicembre 2008, l'Amministrazione ha definitivamente preso atto di quanto stabilito dalla Corte di giustizia.
1.3. L'ordinanza di rimessione, premesso che sulla specifica fattispecie oggetto del giudizio non vi sono precedenti nella giurisprudenza di legittimità, segnala che in più occasioni, invece, la Corte è stata chiamata ad occuparsi del problema della decorrenza del termine di decadenza dal diritto al rimborso di altre imposte dichiarate comunitariamente illegittime. Da un lato, l'orientamento prevalente e più antico, è nel senso della decorrenza del termine dalla data del pagamento, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata l'incompatibilità della norma