Cass. pen., SS.UU., sentenza 17/07/2020, n. 21368

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., SS.UU., sentenza 17/07/2020, n. 21368
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 21368
Data del deposito : 17 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da:

1. IN AN NA, nata a [...] il [...] 2. ND JI, nato a [...] il [...] 3. ND OR, nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 09/11/2017 del Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Reggio Emilia visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal componente LA DI;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio, limitatamente alle statuizioni relative alla confisca e all'ordine di espulsione degli imputati.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza emessa il 9 novembre 2017, ha applicato, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., a AN NA IN, JI ND e OR ND, la pena concordata di anni quattro di reclusione e di euro diciottomila di multa per il delitto di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contestato a tutti gli imputati quanto alla detenzione di 527,5 grammi di sostanza stupefacente del "tipo cocaina" (sub b) e, al solo OR ND, anche in relazione alla cessione di 3,18 grammi di sostanza stupefacente del "tipo verosimilmente cocaina" (capo a). Con la stessa sentenza gli imputati sono stati dichiarati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni, nei loro confronti è stata ordinata l'espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata ai sensi dell'art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990 e, infine, è stata disposta, oltre alla distruzione della sostanza stupefacente in sequestro, la confisca, ex art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, del denaro in sequestro in considerazione della sua sproporzione rispetto al reddito di OR ND e JI ND, entrambi, per loro ammissione, disoccupati e privi di "beni di fortuna".

2. Avverso detta sentenza, depositata in udienza con motivazione contestuale, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati.

2.1. AN NA IN, ricorrendo per mezzo del suo difensore, ha chiesto l'annullamento della sentenza in relazione alla disposta applicazione della misura di sicurezza della espulsione, articolando due motivi, con i quali ha denunciato, rispettivamente, violazione di legge e mancanza e illogicità della motivazione. Secondo la ricorrente, il Giudice, omettendo di osservare il dettato normativo dell'art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990, sì come inciso dall'intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 58 del 1995, lo ha dichiarato parzialmente incostituzionale, ha ordinato di ufficio la sua espulsione a pena espiata senza accertare la sussistenza della pericolosità sociale e indicare in sentenza i relativi presupposti, limitandosi a richiamare la sua attuale posizione cautelare e, illogicamente, trascurando di apprezzare le autorizzazioni concessele per svolgere attività lavorativa esterna e il suo serbato rispetto delle prescrizioni imposte, oltre alla sua incensuratezza e alla confessione resa, pur valorizzate ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

2.2. JI ND e OR ND hanno proposto ricorso, a mezzo del comune difensore, con unico atto, chiedendo l'annullamento della sentenza sulla base di due comuni motivi. Con il primo motivo hanno denunciato violazione di legge in relazione all'art.129 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, rappresentando che il giudice aveva omesso di svolgere l'operazione preliminare demandatagli, tesa a riscontrare l'eventuale ricorrenza di cause di non punibilità giustificative del loro proscioglimento, ovvero non aveva adeguatamente motivato la loro non ritenuta sussistenza. Con il secondo motivo hanno dedotto violazione di legge in relazione agli artt. 234 cod. proc. pen. e 12-sexies legge n. 356 del 1992 e mancanza di motivazione in ordine alla confisca del denaro in sequestro, dolendosi della omessa acquisizione di documentazione, rappresentata da due dichiarazioni rese davanti a un notaio in Albania dal fratello e dal cugino di essi stessi e da una ricevuta bancaria, dimostrative della liceità della provenienza del denaro in sequestro, e del mancato adempimento da parte del giudice dell'obbligo di motivare sulle ragioni della confisca, disposta in termini del tutto generici, nonostante la non estensibilità al provvedimento di confisca della sinteticità della motivazione della sentenza di applicazione della pena.

2.3. Con successivo atto, sottoscritto dal medesimo difensore, JI ND e OR ND, hanno dedotto un ulteriore motivo, opponendo l'errata applicazione dell'art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990 e l'omessa motivazione in ordine alla misura di sicurezza della espulsione, disposta con la sentenza impugnata senza un previo accertamento della sussistenza in concreto della loro pericolosità sociale e senza l'obbligatoria verifica, alla luce delle richiamate norme interne e pattizie e delle illustrate pronunce costituzionali, delle loro condizioni di vita individuale, familiare e sociale.

2.4. La ricorrente AN NA IN ha presentato il 19 dicembre 2018 motivi nuovi, con i quali, premesso in fatto di essere libera dal 5 ottobre 2018 in dipendenza della disposta revoca della misura degli arresti domiciliari e reiterata la denunciata carenza della motivazione quanto alla sua ritenuta pericolosità sociale, ha eccepito la illegittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e dell'art. 86, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 per contrasto con gli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., e dell'art. 86 anche in relazione all'art. 4 Cost.

3. Con ordinanza del 29 aprile 2019 la Sezione Sesta penale ha rimesso la decisione dei ricorsi alle Sezioni Unite a norma dell'art. 618 cod. proc. pen.

3.1. La Sezione rimettente - movendo dal rilievo che, a norma dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 50, legge 23 giugno 2017, n. 103, «il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza [di patteggiamento] solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena e della misura di sicurezza» - ha rilevato profili di inammissibilità dei ricorsi con riferimento al vizio di motivazione in ordine alle statuizioni "esterne" al patto, ovvero non comprese nell'accordo sottostante, e relative ai punti della sentenza riguardanti le disposte misure di sicurezza - personale e patrimoniale - della espulsione dal territorio dello Stato e della confisca del denaro in sequestro.

3.2. Secondo un orientamento già sviluppatosi nella giurisprudenza di legittimità, dalla interpretazione testuale, sistematica e logica dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., coerente con l'analisi dei lavori preparatori e compatibile con i ripercorsi parametri costituzionali e convenzionali, deve trarsi la conclusione della inammissibilità del sindacato sulla motivazione, nelle differenti declinazioni previste dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., essendo i casi e i punti impugnabili individuati «in modo tassativo e derogatorio rispetto a quelli generali» dal regime di impugnazione specifico per la sentenza di applicazione di pena concordata (Sez. 6, n. 3819 del 19/12/2018, Boutamara).

3.3. La Sezione Sesta, sviluppando le questioni relative al contenuto e alla valenza dell'accordo tra le parti nella sentenza di "patteggiamento", alla tutela dei diritti e alla compatibilità costituzionale della unicità del regime di impugnazione sostenuta dal ridetto orientamento, ha rappresentato l'esistenza di almeno due opzioni interpretative alternative, capaci di conformare maggiormente il dato normativo sia ai principi costituzionali sia alla natura pattizia del rito. Secondo la prima opzione (recepita da Sez. 3, n. 4252 del 15/1/2019, Caruso), il vizio di omessa o apparente motivazione relativo all'applicazione della misura di sicurezza è deducibile in sede di legittimità in quanto configura un'ipotesi di illegalità della misura di sicurezza, rilevante come violazione di legge a norma dell'art. 111, comma 7, Cost. In tal modo, sul presupposto che «la nozione di misura di sicurezza illegale è più ampia di quella di pena illegale e ricomprenderebbe anche quella di misura di sicurezza illegittima, cioè disposta in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge», l'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. avrebbe un ambito applicativo onnicomprensivo e riferibile a tutte le statuizioni, ricettive dell'accordo ovvero ad esso esterne.Tale opzione, tuttavia, mentre si fa carico dei profili critici conseguenti al primo orientamento, suppone, ove recepita, chiarimenti sia in ordine alle ragioni della diversa ampiezza della nozione di illegalità della misura di sicurezza rispetto a quella della pena e alla sua attinenza anche alla illegittimità della misura di sicurezza, sia in ordine alla eventuale rivisitazione della nozione di illegalità della pena e ai riflessi sul tema della inammissibilità del ricorso per cassazione. La seconda possibile opzione - non contrastante con l'art. 448, comma 2- bis, cod. proc. pen. e compatibile con la rinuncia ai diritti e alle garanzie implicata dalla scelta dell'imputato di definizione della sua vicenda processuale con il "patteggiamento" e con la volontà legislativa di limitare le impugnazioni pretestuose - è fondata sulla distinzione tra le statuizioni che recepiscono il patto e quelle esterne all'accordo e sulla conformazione del potere di impugnazione sul tipo di statuizione e sul suo rapporto con il contenuto del patto (in tal senso, Sez. 3, n. 30064 del 23/05/2018, Lika;
Sez. 4, n. 22824 del 17/4/2018, Daouk). Premesso il possibile inserimento nel patto di eventuali profili ulteriori (misure di sicurezza) rispetto al suo oggetto essenziale, su cui la Corte di cassazione si è più volte espressa in senso favorevole pur chiarendo che il giudice non è

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