Cass. pen., sez. II, sentenza 07/10/2021, n. 36376
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: NI EN nato a [...] il [...] IA PO nato a [...] il [...] LO NN nato a [...] il [...] VE RA nato a [...] il [...] LA PP nato a [...] il [...] EL SA nato a [...] il [...] DE RO IO nato a [...] il [...] RU RE nato a [...] il [...] IO NI nato a [...] il [...] TO SA nato a [...] il [...] IA NI nato a [...] il [...] AV LL nato a [...] il [...] ON AN nato a [...] il [...] CA NN nato a [...] il [...] UR RO nato a [...] il [...] RE CI nato il [...] AR NI nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 02/12/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COCOMELLO che ha concluso chiedendo rigetto per LL ET UR e BA;
inammissibile nel resto. l'avv. Claudio Davino per IN, OT, ET, LA e RI insiste per l'accoglimento del ricorso. L'avv. TO e l'avv. Nicoletta Piergentili Piromallo per SO CI insistono per l'accoglimento del ricorso L'avv. Immacolata Spina per brio insiste per l'accoglimento del ricorso. L'avv. Antonella Leopizzi per UR AT si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. L'avv. AR Benini per BA insiste per l'accoglimento del ricorso. L'avv. Claudia Milone e l'avv. IG AM per LL insiste per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte Di appello di Napoli confermava le condanne inflitte in primo grado per i reati di partecipazione all'associazione mafiosa storica denominata "clan CI" attiva nel comune di AF, oltreché per diversi reati di usura ed estorsione aggravati dall'art. 7 D.I. n. 152 del 1991. Veniva confermata anche la condanna dello UR e del NA per il reato previsto dall'art. 513 bis aggravato dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991. 2. Ricorreva per cassazione anche il difensore di MI ME, ET LI, RI NN, LA ES e OT EP che deduceva nell'interesse di tutti i ricorrenti:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione: si deduceva che in primo grado il pubblico ministero "chiudeva" la contestazione per il reato associativo, in origine "aperta", limitandola "a tutto il 2010", senza attivare la procedura prevista dal codice per la modificazione dell'imputazione. Il Tribunale si limitava a prendere atto di tale scelta della pubblica accusa mentre la Corte di appello confermava la legittimità dell'intervento di circoscrizione del tempus commissi delicti. Invero si sarebbe in presenza di una illegittima "ritrattazione" dell'azione penale per il periodo successivo al 2010 (periodo in relazione al quale era stata compiuta una significativa attività istruttoria) che avrebbe consentito al pubblico ministero di effettuare nuove iscrizioni per il reato associativo relative al periodo escluso dalla originaria contestazione e di utilizzare nel nuovo procedimento le prove raccolte nel primo, in violazione sia delle norme che regolano l'attività integrativa, sia di quelle che prevedono il divieto di secondo giudizio. In sintesi: non ci si troverebbe di fronte ad una "precisazione" della durata del reato associativo, ma ad una ritrattazione illegittima dell'azione penale che aveva consentito la apertura di un nuovo procedimento in relazione a fatti in relazione ai quali era stata già esercitata l'azione penale ed era stata compiuta una diffusa istruttoria dibattimentale (trascrizione di intercettazioni ed esame del collaboratore AF AT). Nell'interesse del solo IN ME, condannato per i reati previsti dagli artt. 416 bis, 513 bis, nonché per estorsione pluriaggravata (anche dall'aggravante prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991) sia nella forma tentata che consumata, si deduceva:
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione: le prove raccolte indicherebbero che il MI aveva posto in essere condotte indicative della partecipazione solo sino al 2008, il che avrebbe imposto di fare riferimento ai più miti limiti edittali previsti in quel periodo;
l'utilizzo dei più severi parametri introdotti successivamente integrerebbe una violazione dell'art. 2 cod. pen.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche che avrebbero dovuto essere riconosciute in relazione al buon comportamento processuale del ricorrente, che aveva rinunciato ai motivi di merito ed aveva assunto un comportamento collaborativo. Nell'interesse del solo ET LI, condannato per il reato previsto dall'art. 416 bis commi 2 e 4 cod. pen.: 2.4. violazione di legge e vizio di motivazione: la Corte di appello avrebbe illegittimamente ritenuto che l'impugnazione fosse limitata a sostenere l'estraneità dello ET al sodalizio, e non anche ad invocare l'inquadramento della sua posizione come partecipe, invece che promotore. Pertanto sarebbe illegittima la parte della decisione che, valorizzando la rinuncia ai motivi sulla responsabilità, invero effettuata con espressa esclusione di quelli relativi alla qualificazione giuridica, aveva ritenuto che non vi fossero doglianze specifiche a sostegno dell'inquadramento invocato. Contrariamente a quanto ritenuto, l'appello, attraverso la critica della interpretazione delle dichiarazioni dei collaboratori mirava ad ottenere una revisione del ruolo assegnato allo ET all'interno del clan;
si deduceva inoltre che non sarebbero state considerate le dichiarazioni dello AF, nella parte in cui lo stesso svalutava la caratura criminale dello ET;
nè il fatto che, nella memoria depositata in sede di discussione era stata allegata una intercettazione dalla quale emergeva che lo ET era succube dei CI (che gli avevano impedito l'accesso al rito abbreviato ed imposto di cambiare difensore);
2.5. violazione di legge e vizio di motivazione: la recidiva reiterata non avrebbe dovuto essere ritenuta in considerazione del fatto che due dei reati che componevano la progressione criminosa (quello giudicato dalla Corte di appello di Napoli il 2.1.2 2003 con sentenza divenuta irrevocabile 1'11.10.2005 e quello per cui si procede) erano stati ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione perdendo la loro identità, il che osterebbe al riconoscimento della recidiva. Nell' interesse del solo LA, condannato per avere assunto nell'ambito del clan CI il ruolo di promotore nonché per i reati di tentata estorsione ed illecita concorrenza aggravati ai sensi dell'art. 7 D.I. n. 152 del 1991. Si deduceva:
2.6. violazione di legge e vizio di motivazione: come nel caso dello ET la Corte di appello avrebbe illegittimamente ritenuto che l'atto di appello fosse limitato a sostenere l'estraneità del LA al sodalizio e non anche ad invocare la riqualificazione della condotta da quella di promozione a quella di partecipazione. Pertanto sarebbe illegittima la parte della decisione che, valorizzando la rinuncia ai motivi sulla responsabilità, effettuata dalla difesa del ricorrente con esclusione di quella relativa alla qualificazione giuridica, aveva ritenuto che non vi fossero doglianze specifiche a sostegno dell'inquadramento invocato. Contrariamente a quanto ritenuto l'atto di appello attraverso la richiesta di rivalutazione delle dichiarazioni dei collaboratori mirava ad ottenere una revisione del ruolo assegnato al LA all'interno del clan: con la prima impugnazione era stata infatti contestata la valutazione delle dichiarazioni dei chiamanti in correità (D'LO, TO, Di ME, ND, RO, GG ) e le allegazioni difensive non miravano solo al proscioglimento, ma anche alla derubricazione della condotta contestata.
6.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della recidiva, che era stata ritenuta valorizzando esclusivamente l'esistenza di precedenti condanne, senza valutare la risalenza dei precedenti ed il concreto accrescimento della pericolosità correlato alla consumazione dei delitti per cui si procede. Nell'interesse sia del LA che del OT (condannato anch'egli per il reato di partecipazione all'associazione mafiosa) si deduceva:
2.7. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego della circostanze attenuanti generiche che era stato giustificato con motivazione apparente che faceva riferimento ai significativi precedenti ed alla gravità dei fatti in contestazione, senza tenere in considerazione il collaborativo comportamento processuale espresso attraverso la rinuncia ai motivi di ricorso. Nell'interesse della RI NN (condannata per il reato di partecipazione all'associazione mafiosa):
2.8. violazione di legge e vizio di motivazione: la limitazione della attività associativa "a tutto il 2010" avrebbe imposto di fare riferimento ai limiti edittali previsti dal 416 bis cod. pen. in quel periodo;
l'utilizzo dei più severi parametri introdotti successivamente costituiva una violazione dell'art. 2 cod. pen.
3. Ricorreva per cassazione il difensore di ZE AT, condannato per la partecipazione alla associazione mafiosa e per diverse estorsioni aggravate dall'art. 7 D.I. n. 152 del 1991, che deduceva:
3.1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: la recidiva sarebbe stata riconosciuta senza indicare le ragioni dell'aggravamento di pericolosità;
inoltre sarebbe stato illegittimamente denegate le generiche, la cui concessione avrebbe garantito la migliore rispondenza del trattamento sanzionatorio alla gravità del fatto;
anche gli aumenti per la continuazione sarebbero eccessivi e non giustificati.
4.Ricorreva per cassazione il difensore di De OS OA, condannato per il reato di partecipazione all'associazione mafiosa, che deduceva:
4.1. violazione di legge e vizio di motivazione sia in ordine al riconoscimento della recidiva che al diniego delle circostanze generiche: mancherebbe la motivazione in ordine alla specifico aggravamento di pericolosità correlato all'accertamento di responsabilità per i fatti per cui si procede e sarebbe stato illegittimamente denegato il beneficio delle generiche la cui concessione avrebbe garantito la migliore rispondenza del trattamento sanzionatorio alla gravità del fatto.