Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/11/2008, n. 27310

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Nel procedimento giurisdizionale relativo al riconoscimento dello "status" di rifugiato politico, negato dall'autorità amministrativa competente (nella fattiscpecie la Commissione Centrale per il riconoscimento dello "status" di rifugiato), deve essere adottato il rito camerale, anche nel vigore dell'art. 1 del d.l. n. 416 del 1989 convertito nella legge n. 39 del 1990 in quanto l'indicazione contenuta nella norma, al sesto comma, relativa alla proposizione della domanda mediante "ricorso" giurisdizionale evidenzia, pur in difetto di una specifica regolamentazione del rito, l'opzione del legislatore per il modello camerale, anche prima dell'espressa previsione normativa contenuta nell'art. 35 del dlgs n. 25 del 2008

In tema di riconoscimento dello "status" di rifugiato, anche nel vigore dell'art. 1 del d.l. n. 416 del 1989, convertito nella legge n. 39 del 1990, i principi che regolano l'onere della prova, incombente sul richiedente, devono essere interpretati secondo le norme di diritto comunitario contenute nella Direttiva 2004/83/CE, recepita con il dlgs n. 251 del 2007, nonostante l'inapplicabilità diretta "ratione temporis" delle disposizioni comunitarie, in quanto non ancora scaduto il termine di recepimento al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado. Secondo il legislatore comunitario, l'autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell'istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria. Pertanto, in considerazione del carattere incondizionato e della precisione del contenuto di queste disposizioni , ed in virtù del criterio dell'interpretazione conforme elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, tali principi influenzano l'interpretazione di tutto il diritto nazionale anche se non di diretta derivazione comunitaria. Pertanto, seguendo il percorso ermeneutico indicato nella Direttiva anche nell'interpretazione dell'art. 1, quinto comma della legge n. 30 del 1990, applicabile al caso di specie, ai sensi del quale lo straniero deve rivolgere istanza motivata e "per quanto possibile" documentata, deve ravvisarsi un dovere di cooperazione del giudice nell'accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello "status" di rifugiato e una maggiore ampiezza dei suoi poteri istruttori officiosi, peraltro derivanti anche dall'adozione del rito camerale, applicabile in questi procedimenti anche prima dell'entrata in vigore dell'espressa previsione normativa contenuta nell'art. 35 del Dlgs n. 25 del 2008. (La Corte ha cassato la pronuncia di merito che non aveva ritenuto ammissibile la prova testimoniale richiesta dal ricorente in quanto non articolata per capitoli separati e reputando insufficienti le dichiarazioni del richiedente in ordine alla professione religiosa sciita e all'appartenenza alla minoranza curda, nonostante l'attestata conoscenza di tale idioma, aveva rigettato la domanda).

In tema di procedimento giurisdizionale applicabile alla domanda di riconoscimento dello "status" di rifugiato politico, negato dall'autorità amministrativa competente, il provvedimento che definisce i due gradi del giudizio di merito, anche nella vigenza della legge n. 39 del 1990, in considerazione della natura di accertamento giudiziale relativo allo "status" della persona, deve assumere forma di sentenza, così come previsto espressamente nella successiva disciplina procedimentale contenuta nell'art. 35 del dlgs n. 25 del 2008, di attuazione della Direttiva 2005/85/CE, non assumendo rilievo al riguardo l'adozione del rito camerale. Pertanto l'impugnazione davanti alla Corte di Cassazione va proposta mediante ricorso ordinario ai sensi dell'art. 360, primo comma, cod. proc. civ.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/11/2008, n. 27310
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27310
Data del deposito : 17 novembre 2008
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -
Dott. VITTORIA Paolo - Presidente di sezione -
Dott. PAPA Enrico - Presidente di sezione -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. VIDIRI Guido - Consigliere -
Dott. D'ALONZO Michele - Consigliere -
Dott. SETTIMJ Giovanni - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SA AL MO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BISAGNO 14, presso lo studio dell'avvocato CAMINADA VALERIA, rappresentato e difeso dall'avvocato FURLAN SIMONETTA, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
MINISTERO DELL'INTERNO;

- intimato -

sul ricorso n. 25740 - 2006 proposto da:
MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- ricorrente -

contro
SA AL MO;

- intimato -

avverso la sentenza n. 659/2005 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/2008 dal Consigliere Dott. LUCCIOLI MARIA GABRIELLA;

uditi gli avvocati FURLAN Simonetta, RUSSO Vittorio dell'Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona dell'Avv. Gen. Dott. Nardi Vincenzo, che ha concluso, preliminarmente, previa riunione dei ricorsi e previo rigetto dell'eccezione di inammissibilità del principale dichiararsi giurisdizione dell'ago e l'applicabilità del rito camerale con rigetto del ricorso incidentale, nel merito accoglimento per quanto di ragione del 1 motivo del ricorso principale nonché del 2^ e 3^, assorbiti gli altri motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Firenze depositato il 15 ottobre 2002 il cittadino iracheno AL ME IN impugnava la decisione della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato in data 13 giugno 2002 che aveva rigettato la sua istanza volta al riconoscimento di detto status, nonché il conseguente provvedimento del questore di Prato in data 2 luglio 2002 che aveva ritirato il suo permesso di soggiorno temporaneo per asilo e lo aveva invitato a lasciare il territorio nazionale entro quindici giorni, chiedendo in via principale che fosse accertata la sussistenza dei requisiti per l'attribuzione dello status di rifugiato e che in subordine gli fosse riconosciuto il diritto di asilo nel territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 10 Cost., comma 3, o in ulteriore subordine fosse affermato il suo diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, nonché del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, art. 28.
Deduceva il ricorrente che in ragione della sua appartenenza alla etnia curda e della sua fede nella religione musulmana sciita, nonché dell'essersi unito ad un gruppo di oppositori al regime di IN DD era stato oggetto da parte dei militari iracheni, unitamente ad altri membri della sua famiglia, di persecuzioni, che lo avevano costretto a fuggire clandestinamente dal suo Paese e dopo varie vicende a raggiungere nel giugno 2001 l'Italia, dove la sua richiesta di asilo era stata ricevuta come domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Peraltro la Commissione centrale aveva respinto detta istanza sul rilievo che egli aveva addotto non già una situazione di pericolo per la propria incolumità personale, ma una situazione oggettiva e generalizzata di pericolo determinata dai conflitti armati esistenti in alcune zone dell'Iraq, non rilevante ai fini della Convenzione di Ginevra, e non aveva neppure raccomandato il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Con sentenza del 5 - 10 marzo 2003 il Tribunale di Firenze, ritenuto il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, in accoglimento della domanda proposta in via principale annullava la decisione della Commissione centrale ed attribuiva all'istante lo status di rifugiato, ritenendo assorbita la domanda subordinata diretta al riconoscimento del diritto di asilo. Avverso tale sentenza proponeva appello, con atto di citazione notificato il 18 aprile 2003, il Ministero dell'Interno. Proponeva altresì appello in via incidentale AL ME IN, chiedendo che subordinatamente all'accoglimento dell'appello principale si dichiarasse il suo diritto all'asilo politico o in ulteriore subordine si riconoscesse il suo diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Dopo aver disposto il mutamento del rito in quello camerale, con sentenza dell'11 febbraio - 2005 la Corte di Appello di Firenze, in accoglimento dell'appello principale ed in riforma dell'impugnata pronunzia rigettava sia la domanda principale che quelle subordinatamente proposte dal cittadino iracheno. In motivazione la Corte territoriale, dichiarata l'inammissibilità delle istanze istruttorie proposte dall'appellato, per non essere state capitolate le circostanze oggetto della invocata prova testimoniale, rilevava in relazione al merito che, pur condiviso il principio che nella materia in oggetto l'onere probatorio si pone in misura attenuata, atteso il ridotto grado di disponibilità obiettiva delle prove, nella specie non era stata offerto dall'istante alcun effettivo elemento a dimostrazione della sua appartenenza alla minoranza curda, stante la non idoneità a tali fini della circostanza che il medesimo aveva comunicato con l'interprete in lingua curda, ne' d'altro canto valendo la sussistenza di una situazione tendenzialmente persecutoria nei confronti dei curdi e degli sciiti da parte delle autorità irachene specificamente a dimostrare che l'istante fosse stato sottoposto, o corresse il pericolo di essere sottoposto, a persecuzioni in dipendenza della sua appartenenza alla minoranza curda o della sua professione della fede religiosa sciita.
Andava conseguentemente disattesa la richiesta subordinata di riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno umanitario di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998. artt. 19, comma 1, e art. 28, del relativo regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, atteso che il richiamato art. 19, vietando il respingimento alla frontiera del soggetto nei confronti del quale è ipotizzabile la condizione di rifugiato politico, non richiede presupposti più ampi di quelli che presiedono al riconoscimento della condizione di perseguitato politico, e non può pertanto trovare applicazione ove tali presupposti non sussistano.
Altrettanto priva di fondamento era l'ulteriore richiesta di asilo politico in riferimento al disposto dell'art. 10 Cost., comma 3, non esistendo nell'ordinamento una legge di attuazione del principio costituzionale richiamato, al quale andava riconosciuta, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità, natura precettiva limitatamente al diritto dello straniero ad entrare in Italia per chiarire le proprie ragioni e natura meramente programmatica in relazione al diritto di restare una volta chiarita la sua provenienza da un regime meno libertario.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione AL ME IN deducendo sei motivi illustrati con memoria. Ha resistito con controricorso il Ministero dell'Interno, che ha contestualmente proposto ricorso incidentale condizionato fondato su due motivi. Nell'imminenza della udienza odierna - fissata a seguito di rinvio dalla precedente udienza del 19 febbraio 2008, ordinato al fine di acquisire una relazione dell'Ufficio del Massimario sulle problematiche all'esame del Collegio - le parti hanno provveduto al deposito di ulteriori memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando omissione ed insufficienza di motivazione, si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l'istante non avesse fornito elementi di prova ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.
Si osserva al riguardo che:
la Corte territoriale ha travisato il senso della dichiarazione resa nel primo grado di giudizio dalla interprete di lingua curda, la quale aveva affermato che il linguaggio del ricorrente è curdo, avendo la stessa interprete inteso segnalare che il curdo era la lingua madre del ricorrente, non già che il medesimo parlava il curdo, ed ha quindi erroneamente negato a tale indicazione l'idoneità a dimostrare l'appartenenza del soggetto alla minoranza curda stanziata in Iraq, in quanto tale soggetta - come peraltro dimostrato dalla documentazione prodotta - a persecuzioni e violenza in detto Stato. Si deduce ancora difetto di motivazione in relazione al pericolo prospettato dall'istante di essere sottoposto a persecuzione personale a causa dell'attività politica antigovernativa svolta nel suo Paese ed in conseguenza dell'avvenuto espatrio senza autorizzazione e della successiva richiesta di asilo all'estero.
Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 738 c.p.c., comma 3, e ss., e art. 345 c.p.c., comma 3, e ss., e artt. 359 e 184 c.p.c., si deduce l'errore della Corte di Appello per non aver
ammesso la prova orale richiesta. Si osserva al riguardo che il Ministero dell'Interno aveva impugnato la sentenza di primo grado con citazione;
che la Corte territoriale all'udienza del 27 aprile 2004 aveva disposto il mutamento del rito;
che nel procedimento camerale i poteri istruttori del Giudice non sono necessariamente legati all'iniziativa della parte, onde il Giudice è svincolato dai normali limiti di ammissibilità delle prove e non è tenuto ad osservare per la loro acquisizione forme e modalità predeterminate, potendo assumere informazioni ai sensi del richiamato art. 738 c.p.c., comma 3. Si aggiunge che nella specie l'AL ME IN aveva

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