Cass. pen., sez. VI, sentenza 27/03/2019, n. 13407
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da IC AR, nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 26/06/2017 della Corte di appello di Perugia visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio per prescrizione;
udito il difensore, avv. Leonardo Capri, che ha concluso insistendo nei motivi di ricorso, associandosi in subordine alle richieste del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Perugia confermava la sentenza del Tribunale di Terni, che aveva condannato AR IC per il reato di cui all'art. 393 cod. pen., così qualificata l'originaria imputazione di cui all'art. 610 cod. pen. Secondo l'imputazione, l'imputato, nell'interrompere con violenza l'erogazione dell'energia elettrica e del gas nell'appartamento ove vivevano la ex moglie e i figli, aveva costretto questi ultimi a stare nell'abitazione senza poter usufruire dei suddetti servizi (in epoca successiva e prossima al 25 giugno 2010). Era stato accertato in particolare che l'imputato, dopo aver intimato più volte all'ex moglie, alla quale era stata assegnata in sede di separazione la abitazione familiare, di volturare la intestazione delle utenze di fornitura, aveva provveduto lui stesso al distacco della fornitura. Il giudice di primo grado aveva qualificato i fatti nella fattispecie di cui all'art. 393 cod. pen., essendo risultato che l'imputato aveva agito arbitrariamente per esercitare un diritto (le utenze erano intestate ad una società della quale era amministratore e in sede in sede di separazione le spese in questione dell'abitazione erano state accollate alla ex moglie).
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione degli artt. 516, 521, 522 cod. proc. pen. e vizio di motivazione. La Corte di appello avrebbe erroneamente escluso che, attraverso la riqualificazione operata dal primo giudice, non sia stato attribuito al ricorrente un fatto diverso da quello contestato. Nella specie, la modifica ha inciso sulla finalità dell'azione, nell'imputazione originaria diretta ad esercitare violenza per coartare la libertà di determinazione della parte offesa, mentre nella sentenza diretta a tutelare un preteso diritto. La diversità avrebbe determinato la assoluta incertezza del fatto con menomazione del diritto di difesa. Il capo di accusa indicava inoltre una condotta direttamente realizzata dal ricorrente, quarti° invece era emerso che era stata fatta da altri, venendo il giudice di merito a ravvisare un'ipotesi concorsuale pertanto incompatibile con l'accusa.
2.2. Violazione dell'art. 393 cod. pen., 192 e 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione. Muovendo dalla contestazione iniziale, nella quale difettava l'elemento intenzionale, neppure era configurabile il delitto di cui all'art. 393 cod. pen. L'affermazione di