Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 19/12/2008, n. 29832
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La risarcibilità del danno morale, a norma dell'art. 2059 cod. civ., non è soggetta al limite derivante dalla riserva di legge e non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che vi sia stata una lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, atteso che la previsione costituzionale dell'interesse relativo ne esige in ogni caso la protezione.
In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale (da intendere come ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno) va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno.
Nel rapporto di lavoro subordinato non è legittimo - ed è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa- il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia a tutti gli altri obblighi derivantigli dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.), essendo giustificato il rifiuto di adempiere alla propria prestazione, "ex" art. 1460 cod. civ., solo se l'altra parte sia totalmente inadempiente, negli altri casi potendo il lavoratore rifiutare lo svolgimento di singole prestazioni lavorative non conformi alla propria qualifica, ma non potendo rifiutare lo svolgimento di qualsiasi prestazione lavorativa.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IANNIRUBERTO Giuseppe - rel. Presidente -
Dott. CUOCO Pietro - Consigliere -
Dott. VIDIRI Guido - Consigliere -
Dott. STILE Paolo - Consigliere -
Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ILVA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato ROMEI ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato FAILLA LUCA giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
RI OR, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell'avvocato VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PAOLILLO VINCENZO giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 252/2006 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 19/04/2006 R.G.N. 769/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2008 dal Consigliere Dott. IANNIRUBERTO GIUSEPPE;
udito l'Avvocato ROMEI;
udito l'Avvocato VACIRCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO LUIGI, che ha concluso per l'accoglimento per quanto riguarda il danno da rimansionamento e licenziamento;
rigetto, nel resto, del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con due distinti ricorsi al Tribunale di VA BO RG, dipendente della Italsider dal 1976 ed attualmente dell'ILVA s.p.a., con inquadramento nella 6^ categoria, esponeva di essere stato collocato in più momenti in c.i.g., licenziato e poi reintegrato in servizio;
che dal 1990 era stato praticamente tenuto in una situazione di inattività ovvero incaricato di espletare mansioni di infimo livello (fare fotocopie, rifilare le stesse, ...), certamente non rispondenti alla qualifica attribuitagli. Aggiungeva che, avendo sollecitato la società per essere adibito a mansioni adeguate di fronte al comportamento negativo della stessa, non si era presentato al lavoro, venendo così licenziato in data 3 aprile 2000. Sulla base di tali premesse, chiedeva che, previa reintegra nel posto di lavoro, venisse ordinato alla società di assegnarlo a mansioni adeguate alla sua qualifica, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni (biologico, esistenziale, morale) provocati dalla prolungata inattività ovvero dal demansionamento. Il Tribunale adito decideva sulle varie domande, rinviando in prosieguo per la quantificazione del danno biologico.
A seguito di appelli proposti da ambo le parti, la Corte di appello di VA, con sentenza 10 gennaio - 19 aprile 2006, superate alcune eccezioni di rito, confermava la decisione del primo Giudice quanto alla illegittimità del licenziamento, riconosceva che si era avuto un demansionamento dall'aprile 1990 e condannava la società al risarcimento del danno esistenziale nella misura del 50% della retribuzione globale di fatto maturatain tale periodo (detratto il t.f.r. corrisposto a seguito del licenziamento dichiarato illegittimo) oltre interessi legali e svalutazione monetaria dalle singole scadenze fissate per il pagamento delle retribuzioni, nonché al risarcimento del danno morale in Euro 15.000.
Per quanto rileva ai fini del presente giudiziosa Corte di appello, pronunziando sugli appelli proposti, osservava quanto segue. a) L'omesso tentativo di conciliazione di cui all'art. 412 bis c.p.c., non comportava la nullità del giudizio, ne' la necessità di
rimettere le parti dinanzi al primo Giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.. b) La notifica dei ricorsi non effettuata presso la sede legale della società, bensì presso quella in cui veniva svolta l'attività direttiva ed amministrativa dell'impresa, non ne comportava la nullità, in ogni caso sanata dalla costituzione in giudizio della società.
c) Il lavoratore aveva interesse alla domanda relativa al demansionamento perché, se era vero che era intervenuto un licenziamento, con la stessa sentenza era stato reintegrato nel posto di lavoro.
d) L'omessa esibizione del c.c.n.l. non comportava la nullità del ricorso di primo grado, oltre tutto perché, nel corso del giudizio e senza alcuna eccezione delle parti, quel contratto era stato esibito. e) L'affermazione del lavoratore che dal 1990 era stato privato di qualsiasi mansione e, comunque, di essere stato addetto a compiti estremamente modesti (fotocopiatura di documenti e rifilatura delle fotocopie) non implicava la necessità della indicazione delle mansioni in precedenza svolte, essendo al riguardo sufficiente il richiamo a quelle della 6^ categoria, nella quale era inquadrato. f) L'atto di appello del lavoratore conteneva censure specifiche su capi della domanda non accolti dal primo Giudice.
g) Ammissibile era una domanda diretta ad ottenere la condanna dell'ILVA ad assegnare al lavoratore mansioni corrispondenti alla 6^ categoria.
h) Anche a voler ammettere che le mansioni svolte non erano quelle proprie della 6^ categoria, per aver la società assegnato tale inquadramento per giustificare un più favorevole trattamento economico, era onere della società provare che si era in presenza di una qualifica convenzionale e che il lavoratore era stato addetto a mansioni proprie dalla inferiore 3^ categoria.
i) Le mansioni svolte dal 1990 erano anche inferiori a quelle della 3^ categoria (alla quale sono assegnati lavoratori qualificati che svolgono attività richiedenti una specifica preparazione risultante da diplomi di qualifica di istituti professionali o acquisita attraverso una corrispondente esperienza di lavoro), potendo rientrare addirittura in categoria ancora più bassa. j) La stessa società aveva dedotto che il BO doveva essere inserito in una struttura interna, con conseguente inquadramento della superiore 7^ categoria e, pertanto, era logico desumere che non poteva essere assegnato in precedenza a mansioni di 3^ categoria. k) Il BO aveva ritualmente dedotto di essere stato tenuto dal 1990 in poi in uno stato di inoccupazione (o addetto a mansioni di infimo livello), così come era risultato dall'istruttoria espletata. l) Una precedente sanzione disciplinare conservativa era stata ritualmente impugnata, non essendo previsto alcun termine di decadenza al riguardo.
m) L'impugnativa del licenziamento era stata correttamente inviata allo stabilimento di VA LI (e non alla sede legale), in quanto nello stesso il luogo aveva inviato la lettera di giustificazione, della quale si fa cenno nella lettera di licenziamento e dalla quale era stata inviata sia la lettera di contestazione per assenza ingiustificata che quella di licenziamento. n) Il BO aveva formalmente segnalato alla società di essere stato praticamente reso inattivo, tra l'altro con provvedimenti di collocazione in c.i.g. e di licenziamento, tutti dichiarati illegittimi con sentenze passate in giudicato;
di aver fatto presente il grave disagio psico - fisico derivante da tale situazione, dichiarando la propria disponibilità a che gli venissero assegnati compiti adeguati alla sua professionalità;
che la società non aveva dato seguito alcuno a tale richiesta, in tal modo venendo meno alla sua obbligazione e palesando il suo disinteresse a che il lavoratore potesse rendere la sua opera. In questa situazione, protratta nel tempo, era la società ad essersi resa inadempiente, donde la legittimità del rifiuto del lavoratore di eseguire una prestazione di mera presenza e comunque non dovuta.
o) Non ricorreva un'acquiescenza del lavoratore che, per anni, avrebbe accettato la situazione determinatasi, in quanto, tra l'altro, questi aveva palesato chiaramente la volontà di essere adibito a mansioni sue proprie.
p) Ritenuto che il prolungato atteggiamento della società, che aveva leso il BO nella sua dignità professionale e nella sua immagine di lavoratore aveva provocato un danno esistenziale, andava riconosciuto un risarcimento pari al 50% del trattamento economico maturato nel periodo in cui si è avuto il comportamento censurato, detratto il t.f.r. che era stato corrisposto dalla società a seguito del licenziamento, dichiarato illegittimo.
q) Andava infine riconosciuto il danno morale per il comportamento offensivo tenuto dalla società, liquidato in via equitativa in Euro 15.000.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'ILVA s.p.a. con numerosi motivi.
Resiste con controricorso il BO.
Le parti hanno depositato memoria.
Il controricorrente ha altresì presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del P.G..
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. La s.p.a. ILVA, con il proposto ricorso, muove alla sentenza impugnata le censure, che, per una migliore comprensione delle questioni dibattute, possono essere così sintetizzate.. 1 (punto 3 del ricorso). Violazione e falsa applicazione degli artt.112, 161, 410, 412 bis, 433 e 434 c.p.c., nullità della sentenza e
del procedimento in quanto la controparte non ha attivato regolarmente il tentativo di conciliazione, avendo trasmesso alla competente Direzione provinciale del lavoro un generica ed insufficiente indicazione dell'oggetto della controversia, omettendo ogni riferimento all'illegittimità del licenziamento. In relazione a tanto la ricorrente ha formulato un quesito di diritto per accertare se con riguardo a quanto disposto dall'art. 112 c.p.c., allorché in sede di appello una delle parti censuri
l'improcedibilità ex art. 412 bis delle domanda contenute nel ricorso introduttivo e la conseguente nullità della sentenza di primo grado (a seguito di mancato accoglimento di tale eccezione tempestivamente sollevata), il Giudice del gravame debba pronunciarsi sul relativo motivo di appello, esaminando il merito di quest'ultimo, e dichiarando la nullità della sentenza di primo grado a seguito della eccezione di improcedibilità delle domanda.
2 (seconda parte del punto 3 del ricorso). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 161, 410, 412 bis, 433 e 434 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento, per il fatto che il BO non avrebbe assolto compiutamente all'onere