Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza breve 2017-04-04, n. 201701541
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Testo completo
Pubblicato il 04/04/2017
N. 01541/2017REG.PROV.COLL.
N. 00825/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 825 del 2017, proposto dal Comune di Mormanno, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Paolo Gallo, con domicilio eletto presso NZ TI in Roma, via F. Paulucci de' Calboli, 60;
contro
AN ON, rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Pompilio e Claudia Parise, con domicilio eletto presso ER CC in Roma, via Taro, 25;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Calabria - Catanzaro - sezione II, 12 gennaio 2017, n. 54, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor AN ON;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti gli avvocati Amirati, su delega dell’avvocato Gallo, e Pompilio;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 23 giugno 2016, il signor AN ON - proprietario di un’area abusivamente occupata dal Comune di Mormanno e irreversibilmente trasformata per la realizzazione di un’opera pubblica (come attestato in doppio grado dal g.o. con sentenza passata in giudicato che ha nella sostanza riconosciuto la proprietà comunale di dette aree) - ha chiesto al Comune di avviare il procedimento per l’acquisizione coattiva del fondo a suo tempo occupato (e di altro relitto ormai inutilizzabile e dunque di fatto da ritenersi asservito all’opera pubblica sebbene mai utilizzato dalla P.A.), a norma dell’art. 42 bis del t.u. dell’espropriazione (decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327).
1.1. Stante la mancata risposta dell’Amministrazione, il signor ON ne ha impugnato il silenzio ex art. 117 c.p.a.
2. Il Comune si è difeso in giudizio asserendo che il g.o. avrebbe già dichiarato l’avvenuto acquisto della proprietà del bene.
3. Con sentenza 12 gennaio 2017, n. 54, il T.a.r. per la Calabria, sez. II, ha accolto il ricorso, condannando il Comune a provvedere nel termine di trenta giorni e nominando commissario ad acta il Prefetto di Cosenza o un suo delegato.
4. Con ricorso spedito per la notifica il 7 febbraio 2017 e depositato il successivo giorno 10, il Comune ha interposto appello avverso la sentenza n. 54/2017 e assieme ha formulato anche una domanda cautelare, esponendo che:
a) sia in primo che in secondo grado, con sentenza passata in giudicato, il g.o. avrebbe accertato l’irreversibile trasformazione del fondo e l’acquisto della proprietà in applicazione del principio giurisprudenziale, allora vigente, dell’occupazione invertita; in ogni caso il privato, chiedendo il risarcimento, avrebbe rinunciato al diritto di proprietà;
b) il Comune stesso avrebbe già corrisposto somme maggiori di quelle dovute per l’acquisizione del terreno, non ancora restituite dall’appellato (per cui sarebbe pendente ricorso ex art. 702 bis c.p.c.), e non intenderebbe essere esposto al rischio di pagamenti ulteriori. In primo grado, il Tribunale civile avrebbe riconosciuto all’attore, a titolo di risarcimento per il valore del bene perduto, un importo di oltre 72.000 euro (divenuti 127.000 con interessi e rivalutazione), che la Corte d’appello avrebbe ridotto a 11.000 euro (all’incirca 19.000 euro con interessi e rivalutazione). Il Comune avrebbe pagato sulla base di un’esecuzione avviata dopo la sentenza di primo grado e, avendo in seguito ottenuto solo un acconto di 30.000 euro, pretende la restituzione della differenza, pari a oltre 77.000 euro;
c) in definitiva, le pretese dell’originario ricorrente (l’acquisizione di un’area in realtà già appartenente al Comune, per la ragioni sopra dette, e di un’altra porzione di fondo, ritenuta di fatto asservita all’opera pubblica) sarebbero manifestamente infondate e come tali non suscettibili di far sorgere in capo all’Amministrazione un obbligo di rispondere.
5. Il signor ON si è costituito in giudizio per resistere all’appello deducendo:
a) la nullità del ricorso perché redatto in formato cartaceo, privo della firma digitale e munito della sola sottoscrizione autografa senza neppure un’attestazione di conformità a un originale digitale;
b) per la stessa ragione la nullità del deposito del ricorso;
c) l’inammissibilità dell’appello per la mancanza di specifiche censure contro la sentenza gravata;
d) l’infondatezza nel merito (vi sarebbe l’obbligo di adeguare la situazione formale a quella sostanziale anche per evitare il pagamento di oneri fiscali e tributari; la domanda di risarcimento del danno non varrebbe rinunzia alla proprietà in difetto di una volontà inequivoca di rinunziare al diritto dominicale e della forma scritta ad substantiam ; in ogni caso il Comune avrebbe l’obbligo di rispondere all’istanza di acquisizione della parte di fondo residua, ormai priva di possibilità edificatorie e praticamente inutilizzabile).
6. Alla camera di consiglio del 23 marzo 2017, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.
7. Nella sussistenza dei presupposti di legge e avendone informato le parti presenti in camera di consiglio, il Collegio è dell’avviso di poter definire l’incidente cautelare nel merito con una sentenza in forma semplificata, a norma del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.
8. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata è acclarata dalla documentazione versata in atti.
9. La questione preliminare riguarda il regime del ricorso in appello redatto in forma cartacea e non sottoscritto in forma digitale, che la parte appellata ritiene nullo.
10. La questione non è mai stata trattata approfonditamente, per quanto consta, da questo Consiglio di Stato; mentre ha ricevuto risposte non univoche presso alcuni Tribunali amministrativi regionali.
11. Il tema riguarda il processo amministrativo telematico (in prosieguo PAT), come disciplinato dall’art. 136 c.p.a., dagli artt. 13 e 13 bis delle relative disposizioni di attuazione e dal d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico), cui l’art. 13, comma 1, disp. att. fa rinvio. Come è noto, la data di entrata in vigore del PAT è stata da ultimo individuata nel 1° gennaio 2017 dal comma 1 bis dell’art. 38 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, nel testo modificato dall’art. 1 del decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, a sua volta modificato dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197, entrata in vigore il 30 ottobre 2016.
12. Nella vigenza del PAT, il giudice amministrativo di primo grado si è mosso fra l’inammissibilità, la nullità e la validità (con onere di regolarizzazione) dei ricorsi e in genere degli atti processuali non redatti in formato informatico o comunque non dotati di sottoscrizione digitale (cfr. T.a.r. Calabria - Catanzaro, sez. I, ordinanza cautelare 26 gennaio 2017, n. 33; ordinanza cautelare 9 febbraio 2017, n. 50; sentenza breve 10 febbraio 2017, n. 175; T.a.r. Campania - Napoli, sez. II, sentenza breve 22 febbraio 2017, n. 1053; T.a.r. Lazio, sez. II, 1° marzo 2017, n. 2993; sez. III bis, ordinanza collegiale 8 marzo 2017, n. 3231; T.a.r. Sicilia - Catania, sez. III, 13 marzo 2017, n. 499; T.a.r. Campania - Napoli, sez. I, sentenza 28 marzo 2017, n. 1694).
12.1. In estrema sintesi, e sotto il profilo specifico che qui viene in gioco, si è detto che:
a) da un lato, dalla normativa di settore non emergerebbero sufficienti elementi testuali o sistematici per dequotare la prescrizione sulla firma digitale di tutti gli atti e provvedimenti inerenti al processo amministrativo telematico a una mera forma strumentale valida unicamente per il loro deposito, anziché a una forma univocamente prescritta dal legislatore come mezzo di inequivoca imputazione dell’atto al suo autore a fini sostanziali: da ciò la nullità o l’inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 40 e 44, comma 1, c.p.a., dovendosi intendere giuridicamente inesistente la sottoscrizione dell’atto, senza che si possa argomentare diversamente dalla previsione dell’art. 136, comma 2 ter , c.p.a. [che ammette la possibilità di depositare con modalità telematiche - previa asseverazione ex art. 22, comma 2, del decreto legislativo n. 82 del 2005 (codice dell’amministrazione digitale - C.A.D.) - la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme], perché la norma si applicherebbe soltanto al deposito di atti precedenti alla piena operatività del PAT legittimamente formati in analogico ovvero qualora si intenda produrre un atto riferibile a distinti giudizi o copia di provvedimenti giurisdizionali ovvero, ancora, quando l’utilizzo della forma “analogica/cartacea” sia imposta o aliunde consentita;
b) dall’altro, il ricorso non conforme alle regole del PAT (perché consistente nella copia digitale per immagini di un atto cartaceo, sottoscritta con firma digitale, o in quanto redatto in formato analogico con firma autografa e depositato in giudizio in copia informativa) sarebbe bensì difforme dal modello legale delineato dalla normativa di settore, ma tale difformità non si tradurrebbe in una nullità, in mancanza di apposita sanzione da parte del legislatore (art. 156, comma 1, c.p.c.) e avendo l’atto raggiunto il suo scopo (art. 156, comma 3, c.p.c.), perché sarebbe certa la paternità dell’atto depositato e il ricorso risulterebbe comunque leggibile alle parti e al Collegio, il che