PALAZZOLO v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice

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Sul provvedimento

Citazione :
PALAZZOLO v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
Giurisdizione : Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
Numero : 001-146278
Data del deposito : 24 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Emanuela Cataldi, funzionario linguistico. Revisione a cura delle dott.sse Emanuela Cataldi e Maria Caterina Tecca, funzionari linguistici.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court’s database HUDOC

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 32328/09

Vito RT PALAZZOLO



contro

Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), riunita il 24 settembre 2013 in una Camera composta da:

UT EN, presidente,
UI AI,
EE OR,
RA OP,
IL AŞ,
NE UČ,
UL NT de Albuquerque, giudici,
e da NL MI, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 15 giugno 2009,

Dopo avere deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO



1. Il ricorrente, Vito RT AZ, è un cittadino italiano, nato a [...] il [...]. È attualmente detenuto in Tailandia (Bangkok) in attesa di essere estradato in Italia. È rappresentato dinanzi alla Corte dagli avvocati B. Lauria e G. Guiso, rispettivamente del foro di Trapani e di Milano.

A. Le circostanze del caso di specie



2. I fatti della causa, come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.



1. Il procedimento penale a carico del ricorrente in Svizzera



3. Nel 1984 fu notificato al ricorrente in Svizzera un mandato di arresto italiano per sospetta partecipazione all’organizzazione di stampo mafioso CO RA (articolo 416 bis del codice penale italiano, “il CP”) e per appartenenza a un’organizzazione dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti tra Roma, Palermo, Milano, New York e la Svizzera. In pendenza della sua estradizione in Italia, il ricorrente confessò alle autorità svizzere di avere commesso diversi reati connessi al traffico di sostanze stupefacenti in territorio svizzero. La sua estradizione in Italia fu allora sospesa ed egli fu sottoposto a processo per violazione aggravata della legge federale svizzera in materia di sostanze stupefacenti commessa tra il 1981 e il 1983.



4. Nel 1985, la Corte delle Assise criminali del Canton Ticino dichiarò il ricorrente colpevole di finanziamento di un traffico internazionale di sostanze stupefacenti tra la Svizzera e gli Stati Uniti dall’ottobre 1982 al marzo 1983 e lo condannò a tre anni di reclusione. Dopo una complessa serie di appelli, revisioni e nuovi processi, la pena iniziale – successivamente aumentata a tre anni e nove mesi di reclusione – divenne definitiva con sentenza del Tribunale federale svizzero del 3 maggio 1994.



5. Il ricorrente finì di espiare la pena detentiva in Svizzera il 1
o ottobre 1989.



2. Il procedimento penale a carico del ricorrente dinanzi al Tribunale di Roma



6. A seguito di un conflitto di competenza tra i Tribunali di Roma e Palermo relativo ai procedimenti penali a carico del ricorrente, il 19 gennaio 1990 la Corte di Cassazione decise che il Tribunale di Roma sarebbe stato competente per tutti i reati relativi alla partecipazione del ricorrente ad organizzazioni criminali, mentre il Tribunale di Palermo sarebbe stato competente per ciascuno dei fatti delittuosi ascritti al ricorrente.



7. Il ricorrente fu processato dal Tribunale di Roma con l’accusa di partecipazione a CO RA e di appartenenza ad un’organizzazione dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti tra Roma, Palermo, Milano, New York e la Svizzera. Fu accertato che entrambi i reati furono commessi prima del 1984.



8. Con due sentenze pronunciate il 28 marzo 1992, il Tribunale prosciolse il ricorrente dal primo reato e lo condannò a due anni di reclusione per il secondo.



9. Il ricorrente presentava quindi ricorso dinanzi allo stesso Tribunale chiedendo che la suddetta pena di due anni di reclusione fosse considerata come già sofferta all’estero, avendo egli già espiato una pena più lunga in Svizzera per lo stesso reato.

10. Il Tribunale accolse il ricorso il 1o aprile 1993.



3. La prima serie di procedimenti a carico del ricorrente dinanzi al Tribunale di Palermo

11. Il 3 marzo 2001, il Tribunale di Palermo respinse l’eccezione sollevata dalla difesa per cui il ricorrente era già stato condannato in Svizzera per lo stesso reato e lo condannò a dodici anni di reclusione per più episodi di traffico internazionale di sostanze stupefacenti commessi in concorso con altri appartenenti alla mafia tra il 1977 e l’11 giugno 1985.

12. Il 22 luglio 2003, tuttavia, la Corte di Appello di Palermo ritenne che le due sentenze riguardavano effettivamente gli stessi reati, per i quali il ricorrente era stato condannato in Svizzera, e dichiarò di non doversi procedere.



4. La seconda serie di procedimenti dinanzi al Tribunale di Palermo

(a) Il procedimento relativo alla custodia cautelare

13. In data non meglio specificata, il giudice per le indagini preliminari di Palermo ordinò che il ricorrente fosse sottoposto a custodia cautelare sulla base di “gravi indizi” di colpevolezza a carico di quest’ultimo in quanto affiliato di CO RA.

14. Il 18 marzo 2002, la suddetta decisione fu confermata dalla sezione per il riesame delle misure cautelari del Tribunale di Palermo (“la sezione specializzata”).

15. In pendenza del processo principale, il 9 gennaio 2004 la predetta decisione fu annullata dalla Corte di Cassazione per mancanza di “gravi indizi” di colpevolezza a carico del ricorrente in merito alla commissione dei reati nel periodo successivo alla decisione di proscioglimento del 28 marzo 1992, e la causa fu rimessa alla sezione specializzata. La Corte di Cassazione indicò i principi giuridici ai quali quest’ultima avrebbe dovuto attenersi e in particolare che, alla luce della decisione di proscioglimento del ricorrente per lo stesso reato pronunciata dal Tribunale di Roma il 28 marzo 1992, nessuno dei fatti ed elementi relativi al periodo contemplato dal proscioglimento, né le prove prodotte dinanzi al Tribunale di Roma, potevano essere utilizzati contro il ricorrente al fine di provarne l’appartenenza all’organizzazione criminale. Tali elementi potevano costituire solo “un generico quadro di riscontro” al fine di avvalorare altri indizi, i quali dovevano specificatamente riferirsi al periodo non contemplato dalla sentenza di proscioglimento.

16. Per l’effetto, il 2 febbraio 2004 la sezione specializzata annullò l’ordinanza di custodia cautelare a carico del ricorrente.

17. Nonostante l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del ricorrente, quest’ultimo non fu mai arrestato e rimase in libertà per tutta la durata del procedimento penale a suo carico. Fu quindi considerato latitante fino alla decisione della Corte di Cassazione del 9 gennaio 2004 e fu successivamente considerato contumace e processato in contumacia. Il ricorrente fu rappresentato dinanzi ai tribunali interni da quattro avvocati di fiducia.

(b) Il procedimento di primo grado

18. Nel frattempo, la causa fu rinviata dinanzi al Tribunale di Palermo. Il ricorrente fu accusato di appartenenza a pieno titolo a CO RA, unitamente a S.R., G.B., e G.G., dal 29 marzo 1992 “fino ad oggi” (vale a dire il giorno del suo rinvio a giudizio).

19. Il 5 luglio 2006 il Tribunale, qualificando il reato come concorso esterno in associazione di stampo mafioso in violazione degli articoli 110 e 416 bis del CP, condannò il ricorrente a nove anni di reclusione.

20. Il Tribunale pronunciò tale decisione sulla base di vari documenti, testimonianze e prove raccolte attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali nonché sulla base delle dichiarazioni rese da diversi pentiti (ex appartenenti alla mafia che collaboravano con la giustizia), compreso A.G. il quale, in quanto ex membro apicale di CO RA, era stato in stretto contatto con il capo dell’organizzazione.

21. Tutti i pentiti, compreso A.G., erano stati essi stessi condannati per concorso in CO RA e molti di loro erano stati inoltre condannati per altri reati, quali il traffico di stupefacenti, l’estorsione e l’omicidio volontario.

22. Secondo il Tribunale, le prove acquisite nell’ambito del processo principale avevano dimostrato che nel corso degli anni il ricorrente, pur essendo vissuto per un certo periodo in Sudafrica, era stato in contatto con diversi membri al vertice dell’associazione mafiosa, direttamente o tramite i suoi parenti che vivevano in Italia. Era stato provato che tali rapporti si erano protratti dopo il suo proscioglimento.

23. In particolare, nella primavera del 1996 il ricorrente – il quale, secondo diversi pentiti e testimoni, era un membro da lunga data di CO RA, aveva ospitato due mafiosi, G.B. e G.G., in Sudafrica. Tale ospitalità era stata offerta ben dopo il 29 maggio 1996 quando i due uomini erano stati dichiarati ufficialmente latitanti. Era stato inoltre provato che fino a poco prima del processo, il ricorrente aveva effettuato investimenti e svolto attività di riciclaggio di denaro per conto di vari membri apicali dell’organizzazione criminale, incluso il capo di CO RA.

24. Tali fatti erano attestati da tre testimoni sudafricani, uno dei quali, il gestore dell’azienda agricola nella quale i due latitanti furono ospitati in Sudafrica, durante il processo aveva fermamente dichiarato che gli ospiti si erano improvvisamente allontanati dal luogo il 14 giugno 1996, il giorno prima che la polizia sudafricana perquisisse i locali. La sua testimonianza era in linea con le risultanze

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