TAR Roma, sez. III, sentenza 2015-06-15, n. 201508376

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2015-06-15, n. 201508376
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201508376
Data del deposito : 15 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 16571/2014 REG.RIC.

N. 08376/2015 REG.PROV.COLL.

N. 16571/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16571 del 2014, proposto da:
Università Cattolica del Sacro Cuore, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti Eugenio Bruti Liberati e Aldo Travi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, 32;



contro

ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;



per l'annullamento

- della deliberazione n. 144 del 7 ottobre 2014 recante "obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni".

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 giugno 2015 il Cons. Daniele Dongiovanni e uditi gli avv. Eugenio Bruti Liberati e Aldo Travi per l’Università ricorrente e l’avv. dello Stato P. Di Palma per ANAC;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

L'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato, in data 7 ottobre 2014, la delibera n. 144/2014 recante “Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”.

In particolare, la predetta delibera, nell’affrontare una serie di questioni riguardanti la recente normativa in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ha ritenuto che anche le Università c.d. “libere” (oltre alle Università statali) fossero assoggettate a tale disciplina poiché comprese nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001 (cfr art. 11 del citato d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).

Avverso tale delibera n. 144/2014, ha proposto impugnativa l’Università Cattolica del Sacro Cuore, chiedendone l'annullamento nella parte in cui, al paragrafo 4, identifica fra le “pubbliche amministrazioni” tenute a dare attuazione alle disposizioni contenute nel d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (come modificato dall’art. 24-bis del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114) anche le “università non statali legalmente riconosciute” (unitamente all’Allegato 1 contenente la “Elencazione esemplificativa degli organi di indirizzo politico e di amministrazione e gestione in alcune amministrazioni”, per la parte di interesse).

Al riguardo, l’Università ricorrente ha proposto i seguenti motivi:

1) illegittimità della deliberazione impugnata per violazione di legge, in relazione all’affermazione della natura di ente pubblico delle università non statali.

Parte ricorrente contesta la qualificazione in termini di “enti pubblici non economici” delle Università non statali sia per l’assenza di specifiche previsioni normative sia per la mancanza degli indici di pubblicità individuati dalla giurisprudenza che si è occupata della questione.

Ed invero, oltre a non essere qualificate dalla legge come enti pubblici, le università c.d. “libere” sono invece riconosciute dai rispettivi statuti come soggetti privati.

A fronte di tali indicazioni legislative e statutarie, la riqualificazione delle università non statali in termini pubblicistici potrebbe avvenire in base alla teoria, elaborata dalla giurisprudenza, degli indici rivelatori della pubblicità degli enti formalmente privati ovvero, oltre all’istituzione per legge, il fine pubblicistico, il rapporto di strumentalità o di servizio con lo Stato o con un ente territoriale in ragione del quale l’ente è sottoposto a poteri di indirizzo e di controllo, il finanziamento (totale o maggioritario) a carico dell’erario, l’attribuzione per legge di poteri pubblicistici, il carattere necessario dell’ente (nel senso dell’obbligatorietà della sua esistenza).

Tuttavia, gli indici di pubblicità devono essere univoci e prevalenti, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza secondo cui “ l’impostazione di tipo formalistico impressa dall’ordinamento alla qualificazione di un ente in termini pubblicistici impone che, in assenza di un'esplicita volontà espressa nell'atto di riconoscimento della persona giuridica, il ricorso ad indici indiretti, rivelatori della natura pubblica, sia condotto con cautela, con la conseguenza che se l'atto costitutivo attribuisce all'ente […] esplicitamente la natura privata, il superamento della volontà consacrata in tale atto può avvenire soltanto allorché tali indici assumano valenza univoca, tale da superare e prevalere sulla configurazione formale, e ciò anche in ossequio ai principi fondamentali che informano il nostro ordinamento giuridico, il quale garantisce agli individui la libertà di esplicarsi nella società, attraverso la valorizzazione dell'autonomia privata ” (TAR Lazio, Sez. II, 19 aprile 2013, n. 3971; Cass. civ., sez. lavoro, 15 dicembre 1999, n. 14129).

Nel caso di specie, invero, i suddetti indici risultano insussistenti (in particolare, l’istituzione per legge o la necessarietà della loro esistenza) e, comunque, non in condizione di ricondurre le università ricorrenti nel perimetro degli enti pubblici (non economici).

Con riguardo poi all’ingerenza ministeriale sulla governance delle università libere, emerge dalle disposizioni statutarie che né al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca né ad altri enti pubblici nazionali o locali sono attribuiti poteri tali da mutarne la qualificazione in termini pubblicistici. La presenza di rappresentanti ministeriali negli organismi di governo dell’università ricorrente risulta, infatti, decisamente minoritaria e non sarebbe, pertanto, in condizione di alterare le ordinarie dinamiche private di gestione di tali enti.

Con riguardo all’indice del consistente finanziamento pubblico, i beni patrimoniali a disposizione delle università libere provengono da enti promotori e finanziatori nonché dalle “rette” corrisposte dagli studenti iscritti; dai bilanci dell’Università ricorrente, risulta invero che la percentuale dei finanziamenti pubblici rispetto a quelli di provenienza privata non è mai superiore al 10%. Ne deriva quindi che la sussistenza dell’indice di pubblicità del finanziamento pubblico prevalente è da escludere con riferimento all’Università ricorrente;

2) illegittimità della deliberazione impugnata per violazione di legge, in relazione all’affermazione della natura di ente pubblico delle università non statali, con specifico riferimento alle previsioni statutarie dell’Università ricorrente.

L’art. 1 dello Statuto dell’Università ricorrente definisce la stessa come “ università non statale, persona giuridica di diritto pubblico, secondo le norme vigenti ”.

Tale formulazione è stata peraltro ritenuta di carattere assorbente circa la natura pubblicistica dell’ateneo dalla Corte di Cassazione, SS.UU., n. 14742/2014.

Tuttavia, tale qualificazione è stata il frutto di un’erronea scelta operata in tempi non recenti ma che, tuttavia, non è in grado di determinare la natura giuridica dell’Università ricorrente, a maggior ragione oggi in ragione della vigenza dell’art. 97 della Cost. che pone una riserva di legge per la qualificazione di un ente in senso pubblicistico.

Peraltro, non può avere carattere precettivo l’autoqualificazione effettuata dall’ente stesso, in particolar modo se si considera che l’attribuzione della natura pubblica all’Università ricorrente, essendo connotata sul piano religioso, rischierebbe di scontrarsi con il principio di laicità dello Stato;

3) in via subordinata, illegittimità del provvedimento impugnato per illegittimità costituzionale (per violazione dell’art. 33 Cost.) delle disposizioni di legge vigenti per le università non statali, ove esse vengano interpretate nel senso che comportino la natura di ente pubblico delle Università non statali.

Le disposizioni legislative applicabili alle università non statali, ove interpretate nel senso di attribuire alla ricorrente natura di ente pubblico, sono illegittime per contrasto con l’art. 33 della Costituzione.

Si noti, invero, che la riserva pubblicistica che parte della dottrina ha rilevato con riferimento agli enti di assistenza (IPAB) è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (cfr sentenza 7 aprile 1988, n. 396) proprio sulla base dell’interpretazione dell’art. 38, ultimo comma, Cost. la cui formulazione è analoga al citato art. 33 Cost..

Ora, anche con riguardo all’istituzione dei centri di istruzione universitaria, l’art. 33 Cost. non stabilisce alcuna riserva pubblicistica; pertanto, se si aderisse all’interpretazione secondo cui la legislazione applicabile alle università non statali (vgs artt. 1 e 199 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592; art. 1, comma 5, legge 14 agosto 1982, n. 590; art. 1 della legge 29 luglio 1991, n. 243; art.1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) come quella in tema di pubbliche amministrazioni prevedono una riserva pubblicistica per le università libere, tali disposizioni risulterebbero in contrasto con l’art. 33 Cost.;

4) illegittimità della deliberazione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 22, comma 3, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33; eccesso di potere per contraddittorietà.

Con tale censura, l’Università ricorrente contesta poi la sua assoggettabilità agli obblighi di pubblicità e trasparenza previsti dall'art. 14 del d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33, in quanto prive di organi di indirizzo politico.

Ed invero, posto che le università non statali non sono dotate di organi di indirizzo politico, la norma citata non può

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